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Giornata
di Studi
Workshop intermedio FIR 2012
Firenze, 11 Maggio 2015
Università degli Studi di Firenze
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Il Mediterraneo è stato uno dei più frequentati teatri dei
flussi migratori: negli anni ha raccolto, respinto, protetto, perso vite umane,
spesso rivelandosi esso stesso come border
zone. Strettamente legato a quello delle migrazioni è il tema dei campi, strutture
d’internamento “provvisorio” utili a raccogliere e concentrare quei soggetti
non espellibili perché privi di un territorio cui poter essere rinviati. I
campi come vere e proprie utopie tecnocratiche per il controllo dei migranti,
diventano oggi spia dei limiti di un’ospitalità non sempre funzionale ed efficace.
La relazione tra campo e stato-nazione riemerge come relazione di crisi, si
riattiva la riflessione sul rapporto tra cittadinanza/appartenenza/diritti, e
ancora, sovranità/eccezione/inclusione-esclusione/nazione-popolo. Lo straniero
ritorna ad essere nemico, e si riaccendono le discussioni su pericolosità
sociale, internamento e detenzione.
La strategia discorsiva ha provato a trasformare
il problema degli apolidi in un problema di sicurezza per lo stato attraverso
la criminalizzazione della non-appartenenza, intesa come diversità etnica,
estraneità al corpo etnico della nazione. La questione della “minoranza
eccedente” l’ordine politico nazionale è diventata questione “del fuori”. Gli
apolidi sono divenuti “fuori legge”. Colui che è etnicamente diverso è diventato
nemico esterno.
Il campo è stato così assunto a grado zero
dell’esclusione, basata appunto sulla distinzione tra cittadino e straniero.
Nessun cittadino, da cittadino, può entrare in un campo; la cittadinanza
rappresenta il limite insuperabile per l’internamento amministrativo. La
condizione di questi soggetti non è pensabile attraverso le categorie di un
diritto che non sia eccezionale, di un diritto in cui la polizia acquisti un
ruolo predominante. Il campo, in questa prospettiva, si presenta come lo spazio di un diritto che non è
diritto, di una eccezione che diventa regola. Ma non solo. Il campo come
paradosso del potere è la forma che assume il controllo mentre si organizza, ed
è quella stessa forma che visualizza la crisi. Si parla di challenge of governance, che coinvolge trasversalmente nella
riflessione antropologi, sociologi, filosofi e storici del diritto, giuristi e decision makers.
Il campo rappresenta, al tempo stesso, la crisi di un modello
di ordine di cui vuole essere espressione. Dispositivo critico, svolge ad oggi
una funzione ambigua nei confronti di uomini e donne non includibili nel
diritto come soggetti giuridici o, nella politica, come cittadini di una
nazione. Questa funzione si manifesta in pratiche arbitrarie, sottratte al
controllo giurisdizionale e affidate alla discrezionalità degli apparati
amministrativi dello stato. Il campo di internamento segna di fatto una rottura
nell’organizzazione e nell’esercizio del potere degli stati europei e
rappresenta un punto di non ritorno non più interpretabile attraverso le
categorie poitiche del XVIII secolo. A complicare la riflessione è l’analisi
delle situazioni di “campo” in contesti di fragilità o debolezza istituzionale
collegati a transizioni statuali dagli esiti incerti. Qui non si tratta dunque
più e soltanto di verificare l’adeguatezza delle categorie politiche del
diciottesimo secolo, ma di fare i conti con una difficoltà oggettiva di
ricorrere a categorie formali tous court,
non solo e non propriamente giuridiche.
La funzione dei campi pare sia quella di rendere oggetto di
pratiche di controllo una certa popolazione e, sempre in base alla necessità,
di proteggere lo stato da una minaccia presunta sulla base di un giudizio
preventivo, di un giudizio cioè che precede, anticipa e produce il fatto
pericoloso, la violazione di un bene o di un interesse che giustifica la
punizione o quanto meno l’applicazione di misure di sicurezza. L’internamento
senza processo, senza garanzie, rappresenta una misura di sicurezza da assumere
in base a criteri che possono essere etnici, economici, politici o addirittura
semplicemente geografici nei confronti di chi è ritenuto in quanto tale
pericoloso. È chiaro allora che se la pericolosità si presume deduttivamente da
alcune circostanze, non è necessario alcun accertamento giurisdizionale della
fondatezza dei provvedimenti di privazione della libertà personale. Oppure,
come spesso accade agli immigrati internati nei centri di detenzione italiani,
l’accertamento della legittimità del provvedimento di espulsione sulla cui base
è stato disposto l’internamento, avviene solo dopo che l’immigrato è stato
espulso.
Il workshop si propone di analizzare, verificare e
discutere le tematiche esposte attraverso un approccio interdisciplinare che
affianchi l’analisi teorica a quella dei casi studio.
Segreteria scientifica: Eliana Augusti, Antonio Maria Morone, Michele Pifferi
Collaboratori: Valentina Pepi
Per info: mplt.info@libero.it